“Hai fatto giusto in tempo”, dicono. In effetti, non appena sono atterrato a Roma, di ritorno da Parigi, la sera del 21 febbraio, all’aeroporto controllavano ogni passeggero, facendolo fermare per qualche secondo, davanti a una telecamera. Ma adesso, mentre scrivo, almeno per un momento, preferisco mettere da parte il presente, per provare a raccontare Parigi.
Sarà che solo Parigi è degna di Roma e solo Roma è degna di Parigi, come diceva qualcuno, ma quando ero lì pensavo spesso alla mia città, Roma appunto, e non c’entrano né il provincialismo cosmico né il romacentrismo che ogni tanto limita lo sguardo di noi romani, giuro. Non era la prima volta che andavo a Parigi, e questa è stata la vera fortuna.
Perché la prima volta, quando arrivi in una grande città, almeno per me, ci sono delle tappe obbligatorie, quelle famose, quelle che finiscono sulle cartoline o nelle dieci cose da vedere su Google, quelle che se non le vedi poi ti senti in colpa e quando te ne vai senti che non hai fatto fino in fondo il tuo dovere, che hai lasciato qualcosa in sospeso.
Ma quando ci torni, ecco, se la prima volta hai fatto tutte quelle tappe obbligatorie o quasi, allora il viaggio diventa tutta un’altra storia. Nel caso di Parigi, puoi tornare al Louvre, al Museo d’Orsay, al Pompidou, ma senza passarci tutta la giornata. È stato proprio il ritorno (per la quarta volta) a permettermi un soggiorno più rilassato, più spontaneo, a darmi la possibilità di immaginare un confronto ideale tra Parigi e Roma.
Visto che sono ossessionato dagli elenchi, mi ero segnato sull’agenda e nelle note del cellulare tutti i luoghi che ancora non avevo visto, dalla Cinemathèqué française al quartiere Belleville, dal Bar Hemingway all’interno dell’Hotel Ritz al caffè dove lavorava Amélie, nel quartiere Pigalle. Anche stavolta, lo ammetto, non ce l’ho fatta a vedere tutto, però, almeno per un momento, mi sono sentito più vicino alle abitudini di un parigino che non all’inconsapevolezza tipica di un turista. Ma andiamo per ordine.
I tre grandi musei già citati (Louvre, d’Orsay e Pompidou) li ho visti per la terza volta, e così, con un po’ di lucidità in più,per le opere e per l’atmosfera che si respira, mi hanno fatto pensare, rispettivamente, ai Musei Vaticani, alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea e al MAXXI. La Gioconda e le stanze di Raffaello, l’Autoritratto di Van Gogh e Le tre età della donna di Klimt, i progetti di Renzo Piano e quelli di Zaha Hadid. Per avere un’idea di cosa possa essere un’opera d’arte, e di come possa cambiare la sua rappresentazione nel tempo.
In questi musei, per arrivarci a piedi, a seconda che si cammini sul lungosenna o sul lungotevere, si possono trovare i bouquinistes (rivenditori di libri usati, vecchie locandine e oggetti di antiquariato) o dei piccoli chioschi storici di grattachecche (per chi non lo sapesse, si trattadi dolci rinfrescanti a base di ghiaccio grattato più sciroppi o succhi di frutta di ogni tipo). Può capitare anche di attraversare un ponte, il Pont des Arts, che a tratti somiglia a Ponte Milvio, vista le numerose tracce dei passanti e delle loro storie d’amore,dalle scritte con i pennarelli alle catene dei lucchetti legate ai lampioni.
Poi i caffè, anzi i café, se Roma è piena di bar, Parigi è piena di café. Nel Café des 2 Moulins, il caffè di Amélie, al 15 di rue Lepic, in cui ci sono dappertutto foto di Amélie, di Audrey Tatou, insomma, e c’è una bacheca in cui hanno conservato tutti gli oggetti cult del film (i nani, le polaroid con i nani, le tazzine, un abat-jour), mi è capitato di vedere il Paris Saint Germain perdere 2-1 in casa del Borussia Dortmund, con i tifosi del Paris increduli, ma comunque più calmi (o forse, meno appassionati) dei tifosi romanisti in un qualunque pub come il Saxophone o il Four Green Fields.
Ma c’è un caffè, al 172 di boulevard Saint Germain, il Café de Flore, che per il prestigio, i prezzi, ma soprattutto i personaggi che ci sono passati, ricorda molto l’Antico Caffè Greco in via dei Condotti, dipinto anche da Guttuso, che lo frequentava, in un suo celebre quadro.
Nel primo (fondato nel 1887), se ci fossi passato un secolo fa, avrei incontrato Jean Paul Sartre e Simon De Beauvoir, Emil Cioran, Prévert, Picasso, nel secondo, magari,essendo più antico (1760), giocando un po’ di più con la macchina del tempo, avrei scambiato due parole con Baudelaire, Casanova, Goethe, Gogol’, Mann, Nietzsche, immaginando che parlassero tutti la mia lingua, o che io conoscessi le loro. Un po’ come in Midnight in Paris, con quella sensazione che il passato rappresenti sempre un rifugio ideale se il presente non ti rende felice.
Poi, ovviamente, c’è la Tour Eiffel, che di notte si fa bella, e indossa i panni di un faro che aiuta tutti a orientarsi, per il tipo di attrazione è paragonabile al Colosseo, ma per il suo “egocentrismo”, visto che si vede da diversi punti della città, è più simile a San Pietro, che si nasconde bene, sì, ma è sempre pronta ad affacciarsi, e a rubare la scena. Il viale delle Champs-Élysées, che collega l’Arc de Triomphe e Place de la Concorde, se non fosse per la larghezza, essendo pieno di negozi (di marchi famosi e ingenerale a buon mercato), ricordano molto via del Corso, che collega piazza del Popolo a piazza Venezia, in cui si passeggia e quando capita si fa shopping.
Belleville, che, come si poteva notare in quel film animato, è un quartiere molto eccentrico in cui darsi “appuntamento”, è anche un museo a cielo aperto, è il luogo della street art, come Ostiense e soprattutto Tor Marancia a Roma. Girandolo tutto, a un certo punto, ci si imbatte nel cimitero di Père-Lachaise, il più grande di Parigi, dov’è facile perdersi,come nel cimitero monumentale del Verano. Se a Père-Lachaise si possono trovare le tombe di Apollinaire, Balzac, Maria Callas, Modigliani, Molière, Jim Morrison, Proust, Oscar Wilde, al Verano, invece, si trovano quelle di Belli, Vittorio De Sica, Natalia Ginzburg, Nilde Iotti, Marcello Mastroianni, Moravia, Rodari, Savinio, Sordi, Togliatti, Trilussa.
Per non parlare, poi, dei luoghi del cinema, ma per quelli ci vorrebbe un discorso a parte, forse un libro, chi lo sa. Quello che ho capito,nel viaggio di ritorno, è che se non si pensa troppo alla vivibilità, alle linee della metro (e agli orari di apertura), al fatto che i parigini sono capaci di valorizzare ogni cosa, all’importanza che danno alla cultura (basterebbe solo il fatto che se hai meno di ventisei anni i musei sono gratis), alla pulizia, al senso civico, ecco, se non si pensa troppo a tutte queste cose, in fondo, con un po’ di fantasia, conoscere Roma potrebbe essere un nuovo modo per approcciarsi a Parigi, e viceversa.
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